Ma il Cassero da un po’ di tempo non graffia più

«Liberatevi! Ma non di noi» fu uno dei geniali slogan con cui Stefano Casagrande, grande anima culturale del Cassero di Porta Saragozza, presentò una stagione del circolo mito degli omosessuali italiani. Allora il Cassero era un coacervo di anime strane, collocate su per quella ripida torre vedetta che collegava la Bologna del PCI, tollerante e ghignosa, e le stanze vescovili di un cardinale, che scagliava anatemi contro i vizi da sazi e disperati, direttamente con la Madonna di San Luca. Quella stessa madonna che ogni anno, portata in processione, doveva spostarsi un po’ dal suo tragitto per non vedere cosa accadeva in quelle stanze. E quelle stanze, anguste, tormentate e allegrissime, avevano una gerarchia. In alto, oltre la terrazza, c’ era l’ ufficio di Franco Grillini. Sovrano della politica omosessuale italiana. Il primo grande vero stratega, e forse l’ unico, di un movimento diviso e sempre in lotta tra le sue frange estreme. Sempre in alto, c’ era anche il Centro di Documentazione, una biblioteca a tema guidata da un gruppo di intellettuali doc della città che inventarono in quegli anni i «quaderni di critica omosessuale», ancora oggi un esperimento editoriale di tutto rispetto. Al primo piano della torre c’ erano invece i consultori e gli uffici organizzativi, proprio sopra al bar e alla sala teatro, che invece erano al piano terra. E solo sotto, nelle segrete, le sartorie e i costumi. C’ era una gerarchia nella disposizione del mondo, in quella torre che era di fatto il centro più importante d’ Italia per gridare al mondo «Liberatevi! Ma non di noi». E quando Fullin ricorda quei tempi, ricorda bene. Ricorda innanzi tutto che il Cassero era il luogo del «mix culture» per eccellenza. Aperto alla città come pochi, dove cultura gay era offrirsi al benpensare eterosessuale e cercare una convivenza di prestigio. Dove il suo direttore artistico ordinava sì le birre e strigliava, temutissimo, i suoi baristi, ma dove la discoteca affollata di «poverette» serviva a finanziare la cultura, quella con la C maiuscola dei piani alti.

Così la cultura alternativa divenne cultura d’ avanguardia, con le musiche più cool, l’ irresistibile fascino di una liberazione che sapeva di sommovimento sociale. L’ assunto: «esistiamo, viviamo, scopriteci perché siamo più divertenti». Penso con felicità e inevitabile nostalgia a quanto quegli anni abbiano dato a Bologna. Bastava chiedere ascolto e il Cassero c’ era. Ci fu per Loro del Reno e i giovani teatranti. Ci fu per attrici come Lucia Sardo e Monica Mioli o giovani comiche come le oggi chiambrettiane Sorelle Suburbe, Emanuela Grimalda, Dodi Conti. Quell’ occhio attento alla grande invenzione del cabaret femminile che culminò con la Tv delle ragazze e cui ancora oggi molte devono qualcosa. E non solo la cultura. Da quelle stanze sono passate le esperienze di Franco Grillini, certo, ma anche di Titti De Simone, due leader del movimento oggi parlamentari. C’ era un fiorire di affanni e un’ accozzaglia di stili, il motto era «creare per creare», non importava tanto il genere, l’ essere gay o no, l’ importante era pensare da gay, scoprire il punto di vista molteplice, plurale. Una rivoluzione culturale, insomma. I tempi sono cambiati e il Cassero alla Salara è un porto secco. Non si distingue più. E’ sempre un luogo necessario, ma la normalizzazione che ha attraversato Bologna ha colpito anche lì: la Salara o un altro circolo gay fatto di birre e discoteca non differiscono poi tanto. Ogni tanto ci sono iniziative di rilievo, certo: La Libera Università Omosessuale, il Festival Gender Bender… Ma non graffiano. Non sono «diverse». Non c’ è un pensiero espressivo forte dietro. Non c’ è traccia di Cassero nella vita cittadina, forse perché quella vita stenta ad esserci un po’ diffusamente. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che i tempi sono cambiati, che per essere gay a Bologna forse non serve più liberarsi. E quindi farsi vedere. Allora vuol dire che quel Cassero di allora ha svolto bene il suo servizio. E oggi? Mentre si discute di pacs e di diritti, è davvero così poco rilevante che un altro Cassero parli e cerchi nuove libertà? E’ davvero così lontano il rischio di un mondo gay che torni ricacciato nella sua riserva indiana?

L’articolo è uscito su «la Repubblica» (Bologna), 6 febbraio 2007