Le quattro gemelle

Nuova edizione di Le quattro gemelle, contenuto in 6. (2001).

 

 

RASSEGNA STAMPA

(…) si prendano quattro donne, due avverse coppie di gemelle; si chiudano tutte in una capanna persa in mezzo all’Alaska insieme a grandi quantità di denaro, preziosi, droghe di tutti i tipi. E una pistola. Se ne otterrà una commedia forsennata, basata su una mise en abyme: della commedia vediamo in serie gli ipotetici finali, ripetuti in tutte le possibili combinazioni. Le coppie si sopraffanno, le gemelle stringono alleanze, si ricattano, si sfidano, si tradiscono e si aggrediscono, cadono a terra colpite a morte, ma solo per rialzarsi poco dopo con la massima naturalezza e ricominciare. La trovata è divertente, ma ben presto il gioco della ripetizione si fa prevedibile, il trucco non scatta, non si innesca il congegno della sorpresa.

E’ uno spreco – perciò – la geniale, ironica, enigmatica messinscena di Adriatico, che veste le quattro donne con gli stessi leggeri vestiti a fiori e le stesse scarpe col tacco, solo distinguendo le due coppie per il colore degli abiti, e costringe l’azione entro un ridotto pavimento di specchi confinato sulla destra della scena vasta e aperta, mentre, sulla sinistra, un eguale quadrato, ma con pavimento di sabbia sul modello dei giardini zen, resta intonso.

Le attrici sono scatenate, divertite, brave a “far gruppo” e somigliarsi conservando però individualitˆ ben definite e così salvando ciascun personaggio dalla tortura dello smembramento cui lo sottopone Copi. La “gemella” di Francesca Mazza è una donna imponente e incontrollata, mentre Ballico sfoggia un abbandono che è tra le cose migliori dell’intero spettacolo; l’altra puntuta coppia gemellare è formata da Rossella Dassu e Carlotta Miti. Le qualità di questa messinscena salvano la serata, ma non riescono a mettere nel testo quei contenuti drammatici che, se abbondano in altre opere di Copi, qui restano latitanti, lasciandoci freddi, sulle poltrone del teatro, come davanti a uno scherzo preso troppo sul serio.

(Nicola Zuccherini, “Lo spettatore”, 4 aprile 2006)

 

Concerto per quattro gemelle e nitroglicerina… o almeno polvere da sparo. Quella sparsa generosamente negli innumerevoli spari, morti e repentine rinascite di questo spettacolo. E di certo polvere da vena, da naso, da parrucca.

Il teatro di Copi si compone in schegge di immaginari post-moderni ma votatial mondo colorato del camp, del travestitismo e di un grottesco cartoonistico in odore di pulp, piuttosto che al post-mondo desolante di certo Beckett o alle derive cyberpunk di tanti contemporanei. Sembra sfiorare il Genet di Splendid’s nel costruire questo ring su specchio per quattro gemelle (due coppie) impegnate in un turbine di rovesciamenti: se nella pièce di Genet era l’estrema danza macabra di una banda di criminali braccati in una stanza d’albergo, in Le quattro gemelle si svolge tutto su quello specchio steso in terra, lì la guerra, lì le tregue e i tradimenti adombrati che si susseguono scivolando facili l’uno nell’altro, facili come coca in bustina, come i millilitri sonorizzati dell’ero che galoppa, è il caso di dirlo, verso i centri nevralgici del sè. Per cercare conforto, energia, serenità, pace, qui ci si fa. Di continuo.Qualsiasi sia l’esigenza, sembra non essere data che una risposta: il delirio narcotico, la serie di decessi a domino che sembra mimare i fugaci orgasmi volatili di una mente tossica persa nei paradisi-inferni artificiali.

Siamo in Alaska, scopriamo: quattro gemelle sono lì in cerca di diamanti… ma di passaggio, forse scapperanno presto e abbandoneranno la villa nella quale si trovano, forse si seprareranno, ammazzandosi l’un l’altra nella spartizione della grana: forse già è deciso che moriranno tutte. Due sono padrone, due serve: Maria, Leila, Josephine e Fougère sono le ossa di questo corpo folle, la carne di questo menage che si dipana a partire proprio dalla volontà di lasciare. Ci si siede a teatro e subito ci si affaccia su uno stato precario, su un adesso che prende rovinosamente a scivolare in una grottesca spirale noir che puzza soltanto di realtà quando si concede il disegno dei tragitti personali di queste cariche tragicomiche che dal primo all’ultimo momento dello spettacolo non faranno altro che spararsi alle spalle e iniettarsi a vicenda sostanze disparate: sei molto agitata, straparli, hai preso troppa cocaina. Hai proprio bisogno di una siringata di morfina. Siamo decisamente dall’altra parte dell’orlo di una crisi di nervi…

E tra fugaci cecità e paralisi, tra spari, suoni campionati e movenze da cinema d’animazione, morti apparenti e apparenti sodalizi dalle gambe corte, l’imbuto stringe sempre di più verso un’epilogo possibile, un crampo, un salto nel vuoto per questo congegno iniettato nelle vene del teatro.

(Alberto Irrera, “Flash Giovani”, 8 aprile 2006)

 

(…) Piovute in scena dal nulla e destinate a tornare nel nulla, senza un accenno di trama dotata di un inizio e una fine, le due coppie di gemelle al centro dell’azione non fanno che consumare ogni tipo di droghe e uccidersi di continuo le une con le altre, per poi riprendere immediatammente vita grazie anche a poderose dosi di eroina. (…) Le breve pièce viene affrontata per la seconda volta da Andrea Adriatico, che anni fa l’aveva accostata ai Sei personaggi in cerca d’auotre. Fuori da ogni riferimento pirandelliano, egli punta ora sulle immagini simmetriche delle quattro spiritose attrici – Francesca Ballico, Rossella Dassu, Francesca Mazza, Carlotta Miti – e sui buffi effetti sonori che ne sottolineano i gesti stilizzati. Il tutto si svolge su uno spazio quadrato dalla fredda superficie lucida: accanto c’è un altro quadrato, una specie di nitido giardino zen, emblema di una vita diversa cui loro neanche si avvicinano.

(Renato Palazzi, “Il Sole 24 Ore”, 9 aprile 2006)

 

(…) Le quattro attrici, belle e brave nelle loro gonne a fiori con lo spacco, si intrecciano in equilibrio instabile da tacchi alti su un pavimento a specchio, giustapposto a uno spazio di sabbia che nessuna calpesterà mai. Il deserto sta di fianco, ma è come se albergasse dentro quei corpi tesi a restare in piedi e inevitabilmente destinati a cadere per realizzare le proprie trame criminali, l’egoismo che tutto governa e travolge. Qui, come spesso in Copi, siamo in una realtà parallela, simile ai fumetti, dove non si muore mai per quanto ci si schianti, perché si rinasce sempre, più perfidi e crudeli di prima. Siamo in uno specchio eccessivo e beffardo del nostro mondo, capace di riflettere la verità persa nelle consolatorie apparenze.

(Massimo Marino, “Hystrio”, luglio-settembre 2006)