L’auto dei comizi

Terzo episodio della serie Automobili sulla linea dell’ombra (2000-2003).

 

RASSEGNA STAMPA

A impersonare D’Annunzio c’è un irresistibile Alessandro Fullin (è lui il capolavoro dello spettacolo) in tenuta da aviatore. Esile, energico, mobilissimo, Fullin gioca di contropiede e salta – prima che ve ne rendiate conto – dai toni imperiosi del Comandante a una flebile lagna di checca triste, per tornare subito dopo alla statua del superuomo. Il comizio in questione è l’arringa ai legionari, un torrenziale delirio erotico e politico in cui D’Annunzio diventa un burattino incontenibile fatto di vezzi e tic. Non manca un richiamo all’attualità: gratta il Vate e sotto trovi un Cavaliere, e anche questo scoprire – senza banalità – il parallelo tra D’Annunzio e Berlusconi è un prodigio di bravura di Fullin e Adriatico.

(Nicola Zuccherini, “Zero in condotta”, 3 ottobre 2003)

 

Fari nel buio. Luce. Sul grande palcoscenico di Teatri di Vita c’è solo un’automobile. Una cinquecento gialla, col cofano pieno di soldatini. Dalla cappotta aperta sbuca un attore travestito da improbabile aviatore-Vate: lui, il supereroe di Buccari e di Fiume, superitaliano, superardito… “Taci… non odo parole che dici umane… Ascolta. Piove…” La macchina, a cui rivolge cinguettanti parole, sguardi, silenzi, naturalmente si chiama Ermione. Ma non siamo ad ascolare la pioggia in qualche pineto. Udiamo urbanissimi rombi di motore, domati dagli scatti delicati, ostentatamente effeminati, del Nostro, una vispa Teresa travestita da Paolo Poli, o l’inverso, alle prese con un D’Annunzio eroe di cartapesta insidiato da un Berlusconi in agguato. (…) Ma lo sguardo verso le rodomontate di D’Annunzio, il racconto blasé di ridicole imprese eroiche, di slanci erotici, di erezioni da dirigibile, viene smontato dal mezzo di locomozione così dimesso e familiare, mostrando, sotto le parole alate, sotto le imprese mirabolanti, un retrogusto molto casereccio e piuttosto inquietante. Dalla miscela Fullin-D’Annunzio spunta la proiezione più alta di quell’italianità retorica, decisionista e pataccara, di belle parole e reazionaria nel fondo, attenta solo al proprio particolare: il Berlusca sepolto nel Dna nazionale, pronto a sposare chi mette fine ai girotondini da bambini con una bella dittatura, a mandare felici in pensione a ottant’anni, ad azzimarsi a “retine unificate”, ventiquattro bei canali tutti uguali, e così via vorticosamente girandolando.

(Massimo Marino, “l’Unità”, 9 ottobre 2003; altre recensione di Massimo Marino anche su “Hystrio”, luglio-settembre 2005)

 

Il vate (…) ci si presenta in modo del tutto singolare, ha la voce e le movenze da diva del cinema degli anni Trenta, una Assia Noris o una Clara Calamai, con birignao e gridolini di sorpresa, fra passi di danze esotiche, gesti larghi delle braccia, boccucce, sorrisini, sguardi da maliarda. E’ Alessandro Fullin, il più fresco ed esilarante fenomeno della lunga tradizione del teatro en-travesti, a riversare in questa sottilissima caricatura tutto il suo repertorio di languide femminilità, pescando dallo sciocchezzaio dei cascami del decadentismo. E quindi D’Annunzio c’è tutto, non solo per citazioni esplicite e puntuali, ma proprio per la vacua fatuità di quelle pose estenuate, tese alla continua ricerca di soggetti da sedurre, fossero principesse esangui, adunate di volontari o ministri. Con inevitabili cenni all’attualità dei linguaggi della politica, e l’idea di fondo che la retorica, esercizio comune dei nostri governanti, resti una pendenza sdrucciolevole, immediatamente confinante con i territori del comico.

(Antonio Audino, “Il Sole 24 Ore”, 12 ottobre 2003)

 

A Fiume D’Annunzio approda, sostando al Royal di Venezia, s’intende, atteso dal corpo di spedizione friulano a cui, il poeta, non pu˜ che esibire l’ansia di non aver con sé il romanzo di Jane Austen. Infine, di tanti discorsi patriottici, il cantore lascia in eredità le figure fondamentali di una danza russa, la similitudine tra mentire e stirare (in entrambi i casi non bisogna fare una grinza), l’elogio al super-eterossessuale, difficilmente rintracciabile di questi tempi, e una bella analogia tra persona e personaggio.

In fondo, quali sono i punti di contatto tra Fullin e D’Annunzio? Pare nessuno, a basarsi sulla leggenda, uno grande amatore di donne, l’altro, per prudenza, non è mai andato oltre alla sua balia. Però, chi lo sa, meglio tornare all’arte modernista: “Non si può pagare un biglietto per vedere una checca vestita d’aviatore”. No, certo, ma per vedere D’Annunzio vestito da Fullin sì. Applausi.

(Mary B. Tolusso, “Il Piccolo”, 2 dicembre 2003)

 

Alessandro Fullin, smessi per il momento vestiti e parrucca della professoressa di Tuscolano in Zelig per indossare quelli del più irridentista dei nostri poeti, ci guida nella più surreale, dissacrante, esilarante e irriverente ‘ricostruzione’ della presa di Fiume nello spettacolo ‘L’auto dei comizi’. (…) Sorprende la collaborazione fra un comico squisitamente camp e un regista che ha scelto da tempo la via della sperimentazione e la ricerca (…) E il risultato è tutto in questa oretta – ma vorremmo che il tempo si dilatasse – sospesa fra balzelli e grida, proclami e fuochi d’artificio, saluti e baci dal tettuccio sempre aperto dell’auto, clacson e andature dinoccolate scandendo il nome di Kokoschka, citazioni colte e contaminazioni trash, decadenza e Abruzzo, impulsi poetici e chi più ne ha più ne metta.

(Anna Paola Gabrielli, “LMT Magazine”, maggio 2005)

 

 

Alessandro Fullin è stato votato da Antonio Audino come “miglior nuovo attore” della stagione nel referendum dei Premi Ubu 2004.