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piccola appendice al nulla

Non so più se, a distanza di mesi, sia ancora possibile una riflessione <ragionata>, razionale, correttamente estetica del Coro di Rem & Cap. So invece, ne sono certo, che è ancora possibile raccontare, come può fare uno spettatore attento, aperto, il senso raccolto, il piccolo turbamento depositato dentro attraverso quello spettacolo, poco razionale, molto emotivo.
E se è vero che a parlar di facili emozioni son tutti buoni, se è vero che l’arte è meglio «impararla e metterla da parte> (1), il mio contributo alle riflessioni ragionate su Coro non può essere diverso da ciò che sto scrivendo.

sui silenzi

Il silenzio è fonte di ragione, di esistenza, di parole. Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale di fronte al mondo mosso da Rem & Cap, a quelle valigie (vuote/piene?), a quei passi coperti e circoscritti in uno spazio al di là del tempo.
Sono stato altro, ho usato parole, suoni, luoghi comuni per cercare in me la stessa comunicazione impossibile, il mio italiano equivalente al loro alfabeto sordomuto.
Ecco allora che avanza la ragione.
Raccolgo le idee, e credo di aver vissuto un viaggio impossibile. Ho visto figure/pedine agitarsi come in un angolo interno, circoscritto ed inscritto in una dimensione tesa, violata, umana. Mi sono tornate alla mente quelle strane parole che sanno di filosofia, di universale.
C’è una condizione per tutto:

ma la sola che sa di esistenza è condizione di tridimensione

Eppure l’essenza tridimensionale, Dio e limite della nostra storia, è un’illusione – tempo e spazio compresi.

illusioni di un <Coro>

ho visto l’angolo, interno, chiuso in un cerchio, alchemica fonte di strani pensieri – la mente – e l’ho visto raccolto da un quadrato in geometrie possibili, tanto possibili, tando dominatrici.

pirandello? euripide?

Preferisco il silenzio.
Davanti a quella <scenae frons> costruita con valigie (vuote/piene?) preferisco l’ascolto impossibile di un Coro che fa i conti con la storia, col disagio.
Preferisco l’assenza di parole inutili, tanto utili.

vuote/piene?

È forse il disagio del teatro, incapace di parlare, di profetare, di <futur-ire>?
O è forse il destino più intimo dell’incomunicabilità umana, grande teatro dell’esistenza, rappresentato sgretolando i mezzi dell’essenza, le dimensioni – scena,parole, segni -…

e la parabola?

essere padri al giorno d’oggi non è facile, si rischia sempre di falciare il seminato… e talvolta il raccolto può non essere di carne, ma d’illusione

padre, figlio, giustizia, tragedia? cosa c’entrano

Il disagio è grande. Forse ho imparato una strada. Quante parole si consumano in giorni come questi, e in quelli di ieri, e in quelli di ieri prima di ieri, e prima ancora ancora…
Occorre forse ascoltare le parole come puro suono, o abitudine, alone di voci di quel mondo dove nessuno parla?
Preferisco il silenzio.
Ascoltare un Coro di silenzi.
Così, credo, sia la vita…

grazie.

(1) – Devo a mio padre una conoscenza preziosa, quella dei proverbi. E se è vero che <Chi di gallina nasce terra ruspa>, ecco una buona occasione per dimostrarlo (Giuseppe Adriatico, Una vita)

 

Pubblicato nel volume A passo d’uomo I. Coro, di Claudio Remondi & Riccardo Caporossi, Santarcangelo dei Teatri, Santarcangelo 1991