Il buio si combatte con la politica

“Le perversioni vanno curate” racconta lo striscione che quelli di Forza Nuova hanno appeso, quatti quatti, nel nero buio della notte alla Salara di Bologna, sede del Cassero e di Arcigay nazionale. Che perversioni sono quelle che Forza Nuova invita a curare? Sono le perversioni di uomini che amano uomini, di donne che amano donne, di individui dalla sessualità di passaggio che amano altri individui? Sì, io condivido lo striscione: “Le perversioni vanno curate”. E andrebbero curate tutte. ANDREBBERO curate le perversioni delle persone che usano ruoli pubblici per finalità personali, o quelle di genitori che lasciano i loro figli minorenni a casa, senza tutele, per inseguire le promesse di un club per scambisti. Ma anche le perversioni degli stalker, degli uomini che odiano le donne e le picchiano senza pietà, degli individui che agiscono nella notte, in quel nero che li abita fino in fondo all’ anima, e appendono le proprie verità come lenzuoli sudario alle mura della storia. La parola perversione è intraducibile nel suo senso profondo. Perché non racconta per tutti la stessa cosa. E ciò la rende pericolosa, mutante, non trascurabile. Questa estate ero a Roma durante una manifestazione spontanea perché un gruppo di picchiatori aveva pestato a sangue una persona omosessuale in un parco. C’ era giusto un centinaio di persone ad ascoltare lo sparuto gruppetto di personalità della politica omosex italiana: Vladimir Luxuria, Paola Concia, Nichi Vendola. A Roma i pestaggi delle persone omosessuali sono una normalità con cui si convive. Da sempre. Perché soprattutto lì, ma non solo lì, il concetto di perversione omosessuale si cura, quando va bene, con le mani, quando va peggio, con un omicidio. Sempre nella notte, sempre nel buio, sempre nel nero. Nessuno pensa mai di curare la perversione del nero. E questa estate, mentre ascoltavo l’ affanno comunicativo di quella platea, pensavo “la mia Bologna è diversa”. A Bologna non picchiano e non offendono le persone omosessuali. A Bologna c’ è l’ unico monumento italiano alle vittime “diverse” dei campi di concentramento. Lo inaugurarono una mattina, davanti a Porta Saragozza, nel 1990, e fu un atto di profonda virtù politica. Si rendeva giustizia postuma alle migliaia di persone bruciate, gasate, pestate con gli ebrei. Ora la cosa accaduta a Bologna colpisce. E non colpisce solo per la ragione più ovvia: l’ omofobia non è sconfitta, l’ aggressione delle persone omosessuali è una realtà, anche qui, in crescita costante, supportata da anni di dileggi, sfottò, umiliazioni da ogni genere di personaggio pubblico. E di una legge contro l’ omofobia, manco parlarne. L’ Italia non è un paese per le persone omosessuali. La cosa accaduta a Bologna colpisce perché quel sudario appeso asciuga la sconfitta di un movimento che fatica ad esistere. Tra qualche settimana Ferrara ospita la tre giorni chiamata a ridisegnare il volto di Arcigay e delle sue rappresentanze. Il sudario sventola in un momento in cui il dibattito interno è feroce e gli argomenti piuttosto miseri: il buio e il nero si combattono con la luce. E con la trasparenza. E’ tempo che le persone omosessuali trovino la forza di rilanciare una vera politica di genere. Questo episodio può e deve essere un’ occasione. Per evitare di dare voce a “quelli della notte” e alla loro immondizia e ritornare a parlare, con forza, con energia, con curiosità negli occhi, della libertà di essere chiamati persone e non perversioni.

L’articolo è uscito su «la Repubblica» (Bologna), 27 ottobre 2012